La lunga marcia della democrazia sindacale - di Andrea Montagni

Con la sentenza 231 del 2013, la Corte costituzionale dando ragione al ricorso presentato dalla Fiom-Cgil (e dalla Filcams-Cgil anche se la stampa a fini semplificatori preferisce ignorarlo) ha segnato un passo importante.
La Corte indica la via della legge per attuare il diritto dei lavoratori a contrattare attraverso proprie rappresentanze sindacali che partecipino in misura proporzionale alla loro rappresentatività effettiva. La Corte indica nelle regole che si usano nel Pubblico impiego, e in quelle contenute nell’accordo sindacale Cgil Cisl Uil e Confindustria di quest’anno, le norme più adatte a definire la rappresentatività:
“Queste  [norme per definire la rappresentatività, nda] potrebbero consistere, tra l’altro, nella valorizzazione dell’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, o ancora nella introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, o nell’attribuzione al requisito previsto dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente, oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Compete al legislatore l’opzione tra queste od altre soluzioni”.
Per chi ha dedicato tanta parte della propria attività sindacale, come delegato prima e come dirigente poi, ad affermare l’idea della democrazia consiliare promuovendo coordinamenti delle delegate e dei delegati, battaglie politiche e sindacali interne ed esterne al sindacato e ai partiti, referendum abrogativi e iniziative di legge popolare - fino a portare tutta la Cgil ad una posizione condivisa su democrazia sindacale e rappresentanza - si tratta di un grande incoraggiamento.
La lunga marcia iniziata nella seconda metà degli anni ’80 ha fatto un bel passo in avanti…


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