"E noi faremo come la russia..." - di Maurizio Brotini

Reds n. 09 - 2017 Hits: 1139

Se il perimetro che ti concedi è solo quello delle varietà di capitalismo possibili, sulla tua ruota si affaccerà sempre e solo quello più puro nella sua brutalità


Nel Centenario della Rivoluzione d’Ottobre è storicamente e politicamente doveroso chiedersi quale ne sia stata la portata ed il segno. Vale per l’Ottobre e per l’esperienza che ne scaturì, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, un ragionamento analogo a quello del nesso tra Rivoluzione Francese ed esperienza napoleonica. Per chi scrive hanno avuto ed hanno tuttora, entrambe, un segno positivo e progressivo. Sia per le parti di mondo che organizzarono, sia per i vecchi ordinamenti che distrussero, sia per i processi di emancipazione a cui dettero vita. E furono grandi anche nella tragedia, il vero rilevatore dalla grandezza storica degli eventi. E non solo la fase napoleonica fu progressiva, la stessa Restaurazione non poté riportare indietro le lancette della Storia. “Fare come la Russia” animò non solo la costruzione dei Partiti Comunisti e dell’Internazionale, ma fece divenire realtà fattuale le aspirazioni all’emancipazione ed al riscatto sociale di masse di diseredati fino a quel momento sempre tenuti ai margini della Storia. La Rivoluzione d’Ottobre dimostrò ad operai e contadini che quello che avevano vagheggiato sul piano utopico nei Paesi di Cuccagna o nella figura del Cristo socialista poteva farsi pratica reale: dura, aspra, tragica, drammatica, classe contro classe, ma finalmente entro un orizzonte politico che si apriva per la prima volta alle masse popolari ed ai lavoratori ed alle lavoratrici.

E in Italia non fu solo l’esperienza torinese dei Consigli di fabbrica animata dal gruppo dell’Ordine Nuovo capeggiato da Antonio Gramsci, fu un reinverare aspirazioni millenarie di riscatto a livello di organizzazione, lotte, manifestazioni, acculturazione diffusa, emancipazione dal degrado e dall’abbrutimento fisico e morale. Perché se si era fatto in Russia, poteva essere fatto ovunque, così come la Rivoluzione Francese tagliando la testa ai nobili aveva dimostrato che il tempo dei Re Taumaturghi era finito. La pace - agognata dai fanti contadini nelle trincee e nelle loro case rimaste deserte di uomini adulti-, si poteva ottenere e le terre potevano essere dei contadini, perché gli operai potevano dirigere le fabbriche e lo Stato. E la rivoluzione spinse dalle file del Movimento Socialista per l’autonomia politica dei comunisti, ed anche gli anarchici si interrogarono e furono rapiti dallo spirito rivoluzionario. Ma lo furono soprattutto i soggetti sociali tenuti fino a quel momento ai margini della Storia. E fu - ed è - un valore progressivo sia per i rivoluzionari che per i riformisti, sia per gli evoluzionisti che per i predicatori delle rotture e delle discontinuità. Perché se si era fatto si poteva fare ovunque, ed infatti i più intelligenti detrattori dell’Ottobre e del Leninismo hanno sempre teso a mettere in evidenza il tratto “Asiatico”, e quindi non universale e generalizzabile, di quella esperienza. Esperienza che ha riempito i giorni e le notti dei lavoratori che gemevano piegati nei campi, nelle miniere, nelle officine, perché la Rivoluzione era senz’altro dura e difficile, ma possibile. Un’idea - ed un esempio - che ha animato in Europa la lotta contro le potenze fasciste, trasformando la Seconda Guerra mondiale in una guerra “sacra” dei popoli contro l’oppressione, che ha ispirato i movimenti di liberazione nazionale in Asia, Africa e in America Latina in tutto il secondo dopoguerra, così come in Cina e India. E lo sapevano assai bene i padroni che, temendo sulla spinta dei movimenti per la trasformazione sociale di essere spossessati di potere e di ricchezze, dovevano costruire risposte popolari al loro dominio, che non poteva basarsi solo sulla forza e sulla repressione. Una battaglia per l’egemonia nei paesi a capitalismo avanzato, dove la complessità della trama sociale imponeva guerra di movimento e guerra di posizione. Un compromesso dinamico, sempre aperto all’irrompere delle pratiche sociali. Non si danno riformisti senza rivoluzionari, e infatti implosa l’Urss – non solo per quello ma anche per quello – sono saltate tutte le mediazioni sociali del Trentennio Glorioso (1945-1975). E implosa l’Urss e il blocco dell’Est, di nuovo forze e Governi espressamente nazisti e fascisti avvolgono l’Europa. Senza l’Armata Rossa avremmo fatto tutti il passo dell’Oca, senza l’Armata Rossa il passo dell’Oca torna a segnare il passo nei paesi del nostro continente.

Un’idea che può farsi realtà anima anche tutte le lotte di resistenza, anche quelle squisitamente sindacali. Perché se il perimetro che ti concedi è solo quello delle varietà di capitalismo possibili, sulla tua ruota si affaccerà sempre e solo quello più puro nella sua brutalità. Ricordare la Rivoluzione d’Ottobre, rivendicarne il suo portato progressivo ancor oggi operante non è quindi solo un dato di onestà storica e storiografica, è una necessità squisitamente politica. Perché potrà ancora “suonare il campanel,” perché “falce e martel” potranno ancora trionfare e, con essi, le aspirazioni, i bisogni, gli ideali, le utopie di chi quelle moderne falci, quei moderni martelli - rimaste gli stessi ed anche mutati-, ancora impugna e brandisce.

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