Contratto di lavoro domestico: un rinnovo difficile - di Gianluca Lacoppola

Il contratto nazionale del lavoro domestico e di cura è per sua natura atipico. In primo luogo perché non è sempre facile definire, secondo le consuete categorie, le controparti dei lavoratori che quasi sempre sono famiglie e non imprese o aziende, e che poco hanno a che vedere con la normale dicitura di datore di lavoro e con la prassi della contrattazione. In secondo luogo perché il lavoro di cura all’interno delle famiglie troppo spesso viene considerato un “non lavoro”o comunque un rapporto tra le persone che non merita una regolamentazione precisa. E invece il settore in questione muove miliardi di euro ed ha un estremo bisogno di lavoro altamente qualificato e regolamentato.
In un periodo di riduzione delle tutele collettive in ambito sanitario e di indebolimento delle antiche reti di protezione di natura familistica, sono oltre 2 milioni gli addetti al lavoro domestico e di cura, anche se, dato l’impoverimento generale del paese e l’aumento di disoccupazione e della popolazione inattiva, è probabile che anche questo settore smetta di crescere per il ritorno ad un welfare familiare.
Comunque oggi il principale problema del lavoro domestico è quello di essere troppo spesso sommerso o comunque irregolare. Proprio per far fronte a questa piaga e per definire in modo chiaro le sue funzioni e il suo valore Cgil-Cisl-Uil hanno sentito il bisogno di definire un ccnl del lavoro domestico. Il contratto è però scaduto da ormai due anni e il rinnovo è alquanto complicato. Le associazioni datoriali infatti hanno prima offerto interessanti aperture, mentre adesso hanno imposto un brusco freno e, anzi, un arretramento delle proprie posizioni sui vari argomenti in discussione. C’è però da registrare che nel frattempo il Governo italiano, primo in Europa, ha ratificato la convenzione internazionale 189 sul lavoro domestico decente varata il 16 giugno 2011 a Ginevra.
L’attuale contratto, seppur scaduto, offre ai lavoratori interessati tutele e dignità simili a quelle degli altri lavoratori subordinati. Prevede l’obbligo di un contratto di lavoro in forma scritta in cui vengono definiti orari, livello, periodi di ferie, luogo di lavoro, etc., definisce i limiti del rapporto a tempo determinato e l’inquadramento, a seconda delle mansioni, dell’esperienza lavorativa e dei requisiti professionali (si va dall’inquadramento più basso che prevede la pulizia della casa a quello più alto per assistenza a persone non autosufficienti). Definisce, in caso di convivenza del lavoratore nella casa del datore di lavoro, il diritto al riposo settimanale (36 ore di cui 24 consecutive), l’orario massimo giornaliero (10 ore non consecutive per il lavoratore convivente, 8 non consecutive negli altri casi) e la maggiorazione notturna e per le ore straordinarie. Stabilisce inoltre la maturazione di giorni di ferie e ore di permesso, il diritto allo studio e la tutela della maternità (anche se minore rispetto alle altre lavoratrici dipendenti per quanto riguarda le dimissioni volontarie), malattia (anche se per i primi 3 giorni equivale al solo al 50% della retribuzione e il mantenimento del posto di lavoro è garantito per 180 giorni solo dopo due anni di anzianità lavorativa), infortunio, e poi permessi sindacali, tfr e tredicesima.
A complicare la definizione di un nuovo ccnl contribuisce sicuramente la firma da parte di alcuni sindacati autonomi di un secondo contratto nel settore che, come ormai avviene quasi ovunque, indebolisce la posizione dei lavoratori. Il contratto Ebilcoba sembra avere nella costituzione dell’Ente bilaterale (chiamato appunto Ebilcoba) per la gestione in proprio dei fondi previdenziali e assicurativi il suo principale obbiettivo. Per il resto è molto simile al contratto nazionale firmato dalla Cgil, salvo essere più debole, e non è poco, per quanto quanto riguarda il periodo di prova (più lungo), la definizione del tempo determinato (derogata al livello territoriale), la malattia (pagata meno dopo il decimo giorno di assenza) e il mantenimento del posto di lavoro in caso di malattia e infortunio (il diritto decade dopo soli 45 giorni di assenza).


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