Spesso alla professione si associa solamente la figura del titolare, il farmacista proprietario della farmacia, quello che guadagna un sacco di soldi ed è padrone di mezzo paese. In realtà i titolari sono solo una minima parte dei farmacisti: il numero maggiore è fatto da lavoratori dipendenti. Questa confusione la rafforza la lingua italiana che, a differenza di banchieri e bancari, classifica tutti i farmacisti con lo stesso nome. L’associazione di idee farmacista uguale titolare uguale ricchezza, radicata nell’immaginario collettivo, fa sì che le difficoltà dei lavoratori dipendenti di questa categoria non vengano considerate dall’opinione pubblica. Il farmacista dipendente, pubblico o privato che sia, è un professionista a competenze elevate, personalmente responsabile della propria attività professionale. Qualsiasi violazione delle leggi che regolano la dispensazione del farmaco ricade deontologicamente e penalmente su di lui. Questo anche se ci sono “pressioni” dall’alto, perché si deve vendere, infischiandosi di regole deontologiche e rispetto di norme sanitarie di buon senso.
Frequentemente, il titolare ragiona sulla propria farmacia come fosse solo un negozio, un’attività commerciale non a carattere misto sanitario/commerciale. L’esasperata deriva commerciale che ne consegue è rischiosa per la salute pubblica. Il farmacista, infatti, non sempre può rifiutarsi di esaudire tutte le richieste, anche le più assurde del paziente/cliente, rischiando di violare la legge ed il buonsenso. Si rischia, alle volte, di dare un sollievo temporaneo (se non di fare un danno) a pazienti che avrebbero bisogno di cure più specifiche. Ma tu non puoi rifiutarti di farlo perché, se il titolare scopre che non hai dato la “pasticchina per dormire” alla signora Maria, che la prende da una vita, si arrabbia sostenendo che “il cliente ha sempre ragione”.
Durante la pandemia la situazione è peggiorata: la farmacia era il solo “presidio sanitario” sempre aperto, che faceva ciò che molti medici di base (e non solo di base) non facevano più: accogliere le persone nei propri studi medici. Anche per questo i farmacisti sono stati caricati di nuove mansioni (test sierologici, tamponi, vaccinazioni) che fino a qualche tempo prima gli erano vietate. Come “specialista del farmaco”, il farmacista non poteva toccare, professionalmente parlando, il paziente: era permesso solo assisterlo nelle autoanalisi, ma sempre senza contatto fisico. La pandemia ha dato la spinta definitiva alla trasformazione della farmacia da “negozio di medicine” a “presidio sanitario multidisciplinare”, la cosiddetta “farmacia dei servizi”. Tutto questo per il lavoratore comporta una serie di nuove mansioni che esulano dall’originario compito di “specialista del farmaco”. Qui si tratta di applicarsi in atti medici veri e propri, procedure e tecniche che non sono contemplate nel corso di laurea, magistrale di cinque anni, indispensabile a poter svolgere la professione; mansioni che quindi non rientrano nelle competenze originarie del farmacista. Per poterle fare ci si affida a formazione secondaria, con corsi, spesso online, sulla cui efficacia è lecito esprimere delle riserve. Diventare “vaccinatore”, quindi iniettare un vaccino, seguendo un corso online, senza fare pratica, ma solo teoria, a molti colleghi è sembrato davvero eccessivo.
Il mestiere del farmacista è pesante anche per gli orari di servizio a cui ci si deve adeguare. Sento molti colleghi esprimere disagio per l’impossibilità di conciliare vita privata e lavorativa. E’ un dato di fatto, in cui concorrono in eguale maniera la già citata deriva commerciale della farmacia e l’aumento dei servizi offerti. Orari di apertura dilatatissimi, con turnazioni spesso fin troppo fantasiose per poter coprire al meglio le “esigenze di servizio”, sono ormai diventati la norma per gran parte delle farmacie urbane dove, gli orari di apertura al pubblico, coprono l’intero arco della giornata e della sera.
Un grande limite percepito dai lavoratori è infine la mancanza di crescita professionale e progressione di carriera. Vieni assunto come farmacista collaboratore e tale rimani fino alla pensione. Se va bene puoi, in alcuni rari casi diventare direttore di farmacia ma questa opzione è riservata a pochi nel settore delle farmacie pubbliche, ed a pochissimi nel privato. Anche il livello aggiuntivo inserito nell’ultimo rinnovo delle farmacie private, non sta riuscendo a risolvere questo tema e rimane appannaggio di pochi fortunati che si confrontano con titolari disponibili e aperti al progresso della figura professionale del proprio collaboratore.
Poi ci si chiede perché non si trovino più farmacisti!
Questo articolo nasce su questa problematica molto discussa nel settore. La carenza di personale farmacista è esplosa negli ultimi anni, con seri problemi per poter organizzare il lavoro (e le ferie) nelle farmacie. Secondo alcuni studi, tre farmacisti su quattro sarebbero intenzionati a cambiare lavoro. E’ un dato che deve far riflettere per un mestiere bellissimo, ed impegnativo anche per gli studi che richiede, ma che rischia di morire sulle troppe contraddizioni che lo appesantiscono.