Il mondo salvato dai ragazzi - di Riccardo Chiari

Le manifestazioni organizzate in tutta Italia in occasione della mobilitazione globale del “Fridays for future” sono state un gran bel vedere. Decine di migliaia di under 20, insieme ai loro fratelli e sorelle maggiori, non di rado ai loro genitori, e a tanti “sempreverdi” che su questi temi si battono da almeno mezzo secolo, hanno invaso strade e piazze delle città. Una marea benigna, che ha ricordato agli smemorati e ai distratti le sferzanti parole di Greta Thunberg all’assemblea dell’Onu: “Ci sono tante persone che soffrono e muoiono. Interi ecosistemi al collasso. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E voi parlate solo di soldi e delle favole dell’eterna crescita economica. Come osate? Ricordate che vi terremo d’occhio”.

Nonostante la giovanissima età della ragazza svedese, e di milioni di suoi coetanei scesi in piazza nei cinque continenti del pianeta, l’inconsueta maturità del movimento è dimostrata dal fatto che per “Fridays for future” non solo non c’è contraddizione fra lotta contro i cambiamenti climatici e lotta per i diritti sociali, ma che i due aspetti sono interconnessi: è questo sistema economico e sociale che ha prodotto e produce la devastazione del territorio e dell’ambiente, e che quindi deve essere modificato. Perché giustizia sociale e futuro ambientale o vanno insieme, o sono sconfitti entrambi.

Nonostante i tentativi dei “padroni del vapore” di accreditarsi come sensibili anch’essi alle tematiche ambientali, e a una crisi climatica che ormai mostra quotidianamente i suoi devastanti effetti, lo scetticismo degli under 20 è più che giustificato. Di fronte a pseudo rimedi che vengono dal mondo dell’industria e della finanza, sotto forma di soluzioni tecnologiche – spesso e volentieri discutibili – ma senza rimuovere le cause dei problemi, le risposte di “Fridays for future” non possono che essere negative. Cosa pensare altrimenti di proposte come quella di confinare la CO2 in eccesso nel fondo del mare o nelle viscere della terra, o di coprire i deserti con pannelli solari che poi trasportino l’energia prodotta nei paesi che la divorano inutilmente?

Con salutare spirito critico, il movimento sceso in piazza ribatte che dietro progetti del genere si nasconde sempre l’idea che questi mezzi saranno fonte di nuovi profitti. Mentre un nuovo corso dell’economia davvero “verde” dovrà obbligatoriamente passare, ad esempio, dalla autoproduzione di energia da parte delle comunità locali, dalla salvaguardia della sovranità alimentare, dalla difesa e manutenzione del proprio territorio. Senza mai dimenticare che è impossibile andare avanti in un mondo in cui l’1% della popolazione possiede più di tutto il 99% restante. E la povertà, dilagante, non solo distrugge vite e territori, ma ricatta anche i lavoratori, troppo spesso costretti a produzioni sbagliate e dannose. Come quelle che alimentano le guerre, altro (e principale) flagello che ha sempre devastato, e continua a devastare, il genere umano e il pianeta in cui vive.


Quei 17 miliardi pubblici alle fonti fossili

Tra i principali obiettivi del movimento “Fridays for future”, c’è la riduzione delle emissioni di gas serra attraverso politiche che disincentivano l’uso di combustibili fossili e contemporaneamente favoriscono le energie rinnovabili, assieme ad una maggiore sobrietà nell’uso dell’energia. Ebbene, a giudicare dalle bozze del cosiddetto “decreto clima” che stanno già circolando, nonostante che il pur volenteroso ministro Costa specifichi che “la situazione e i contenuti normativi sono in costante evoluzione, grazie alla proficua concertazione con altri ministeri”, del progettato intervento urgente per limitare le emissioni scompare la misura più efficace, il taglio pur graduale dei 17 miliardi di sussidi pubblici alle fonti e ai carburanti fossili. Se ne riparlerà nella legge di bilancio. Ma certo non sembra una gran risposta alla marea umana giovanile che il 27 settembre scorso ha occupato le piazze italiane.

Alla vigilia dell’esame del decreto, che dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri all’inizio di ottobre, resta poi in bianco la norma che dovrebbe regolamentare il riutilizzo dei rifiuti come materia prima seconda, a causa delle “differenze di sensibilità” sul tema da parte dei principali alleati di governo, il Pd e il M5s. Morale: le buone intenzioni del ministro Costa si stanno scontrando con “lo stato delle cose”, visto che al momento il decreto contiene più misure simboliche che altro. Come, ad esempio, la campagna di informazione sui cambiamenti climatici dedicati agli studenti delle scuole. Gli stessi che, a occhio, hanno già compreso appieno quanto il momento sia delicatissimo, visto che gli effetti dello stravolgimento del clima spuntano ogni giorno come funghi nelle notizie principali dei media. Anche di quelli televisivi, sia per ragioni di ascolti che per la nitida, disarmante testimonianza data dalle telecamere.


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