L'Italia del ‘vaffanculo' e del ‘me ne frego' - di Frida Nacinovich

Un’Italia fra il ‘vaffanculo’ e il ‘me ne frego’. La fotografia del paese dopo le elezioni politiche del 4 marzo scorso è sufficientemente nitida da non provocare fraintendimenti. Primo il centrodestra di Salvini, Berlusconi, Meloni (con i voti leghisti che hanno superato quelli forzisti), secondo - ma principale partito dell’arco parlamentare per distacco - il Movimento cinque stelle. Se il popolo è sovrano, come deve essere, inutile cercare di stiracchiare gli esiti delle urne in un modo o nell’altro. Il giovane leader pentastellato Luigi Di Maio sembra un allievo ufficiale in libera uscita: bei vestiti, buon taglio di capelli, sorriso berlusconiano a trentadue denti. La materializzazione di un vecchio, celebre detto del sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha. Per quasi tutti i commentatori politici ha avuto successo il passaggio da Movimento di rottura - appunto il vaffa-day - a moderna Democrazia cristiana. Il sogno di Matteo Renzi, una Dc 2.0 realizzato da altri. L’antico mezzogiorno democristiano diventato serbatoio di voti, per una forza politica plasmata sulle rivelazioni anche sociologiche della Casaleggio e associati. Un bacino elettorale all’interno del quale, comunque, il voto è rimasto di aperta protesta contro il cosiddetto sistema politico. La casta, da mandare, appunto, a fan... L’altro leader giovane è Matteo Salvini, che ha moltiplicato i voti della Lega, come fossero pani e pesci. Il novello messia delle valli padane è riuscito a portare il suo verbo anche al centro e al sud del paese, con uno slogan semplice semplice: prima gli italiani, chiudiamo le frontiere. Curioso notare come, sull’epocale tema dell’immigrazione, i due vincitori delle elezioni sostanzialmente se ne freghino. Un dato politico, in un paese dove fra gli studenti universitari si continua a pensare che gli stranieri siano il 30, 40% della popolazione. Quando in realtà non superano il 10%. Ma tant’è, quasi tutti i commentatori vedono in Matteo Salvini un politico raffinato, che non ha sbagliato una mossa, capace di dare una lezione ai tanti presunti eredi della Democrazia cristiana. Silvio Berlusconi, che voleva passare alla storia del paese come il De Gasperi del ventunesimo secolo, ha trovato un allievo capace di superare il maestro.
Invece che avanzare, il nuovo salta come un grillo. E dice trentatré, che è più o meno la percentuale dei voti conquistati dal movimento cinque stelle. Il medico ha trovato la creatura di sana e robusta costituzione, non ha ancora dieci anni ed è già grande e forte. La più alta di una classe, politica, che ancora stenta a capire cosa sia successo nel segreto delle urne. Eppure i numeri parlano chiaro, gli italiani e le italiane non hanno apprezzato chi ha governato il paese negli ultimi cinque anni. Governanti recidivi, che avevano già ricevuto un avviso di sfratto nel 2013. Oltre a male amministrare, almeno a giudizio del popolo sovrano, hanno anche approvato una legge elettorale farraginosa, bislacca, quasi truffaldina. Così, per distacco, Di Maio & c sono oggi il primo partito italiano, molto lontano segue il Pd (18,7%) - in netto declino - e la Lega (17,4%) - in netta ascesa. Per capirsi, Berlusconi si è fermato al 14%. Cambiare tutto per non cambiare nulla, come ha fatto l’ex segretario piddino Renzi, è stato giudicato dai cittadini elettori né più né meno che una furbata. Nella patria del conflitto di interessi, dove il proprietario di tre televisioni (e molto altro ancora) continua a presentarsi da un quarto di secolo alle elezioni, il nuovo non è avanzato lentamente. Ha fatto il balzo. E a fare il balzo più lungo non poteva che essere Grillo. Il problema, per i Cinque stelle, è che ogni possibile alleanza in Parlamento - con la Lega se non lascia Berlusconi, o con il Pd se non abbandona al suo destino Renzi - rischierebbe di fargli far la fine del grillo parlante, quello del Pinocchio di Carlo Collodi. Per questo, si sta già parlando di un lungo periodo senza governo politico del paese (se è successo così in Germania può succedere benissimo in Italia); o, al limite, di un futuro governo di scopo. Per togliere i vitalizi, per blindare le frontiere, per approvare una nuova legge elettorale e tornare, nel giorno di un anno, un anno e mezzo, al voto. Lo scenario ha una sua logica: in un paese di destra come l’Italia, le due espressioni della destra - Cinque stelle e Lega - sanno bene che, non commettendo passi falsi, vedranno addirittura crescere il loro consenso. I sondaggi post voto, al riguardo, sono eloquenti. Lontani sono i tempi in cui, nel nome del politicamente corretto, certe forze erano ritenute pittoresche, localiste, tutt’al più populiste. Ma non certo degne di entrare nelle stanze dei bottoni del governo e del sottogoverno. Il vento della politica soffia da destra, e a ben vedere lo slogan di Casapound ‘né rossi, né neri, ma liberi pensieri’ si attaglia perfettamente al Movimento Cinque stelle, come un vestito su misura, di quelli indossati da Luigi Di Maio.


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