Jacobo Torres de León è un dirigente operaio di lungo corso. Attualmente è il coordinatore della Central Bolivariana Socialista de Trabajadores y Trabajadoras de la Ciudad, el Campo y la Pesca (CBST). Lo abbiamo incontrato varie volte in Venezuela. Questa intervista l’abbiamo realizzata in occasione delle giornate di solidarietà internazionale “Todos Somos Venezuela”, che si sono tenute a Caracas dal 15 al 19 settembre. Il 30 luglio Jacobo è stato eletto come uno del 545 esponenti dell’Assemblea Nazionale Costituente (Anc).
Che cos’è e come nasce la Cbst?
Dopo la vittoria di Chávez, nel 1998, inizia un intenso dibattito all’interno del chavismo e delle sei correnti sindacali che lo animano. Tra il 2010 e il 2011 si pone il tema della riunificazione, che si ottiene il 10 novembre del 2011, anche a seguito di un serrato e proficuo confronto con Hugo Chávez. Tutte le correnti accettano di sciogliersi nella Centrale Bolivariana Socialista e di riconoscersi nei valori della rivoluzione socialista bolivariana, portati avanti prima da Chávez e ora da Maduro.
In Venezuela vi sono però moltissimi sindacati, alcuni dei quali si definiscono di sinistra, ma non stanno con voi e si dichiarano parte del “chavismo critico”. Che relazioni avete e qual è il suo giudizio?
Il 99% della militanza sindacale organizzata dal socialismo bolivariano si identifica con la rivoluzione ai cui interessi superiori vengono subordinati quelli di qualunque gruppo o corrente particolare e corporativa. Vi sono poi alcune correnti che rasentano l’anarchismo o quel che è peggio flirtano con la destra anche se si dicono di estrema sinistra. E che si stanno ponendo al margine della costruzione, per quanto complessa, del nostro processo rivoluzionario. Stiamo affrontando una lotta di classe molto dura perché, nonostante l’ambizione e i progressi compiuti, siamo ancora nel pieno di un modello capitalista. Direi che oggi siamo a un livello superiore della lotta di classe: quella dello stato-nazione contro l’impero. In Venezuela, riconosciamo che il nostro governo – prima con Chávez e oggi con Maduro – è stato l’unico che in 100 anni ha dato risposta ai lavoratori, non solo nel senso delle loro necessità economiche, delle rivendicazioni immediate, ma anche di quelle storiche: diminuzione della giornata lavorativa, prestazioni sociali, sicurezza sociale, dignità. Se guardi alla nostra avanzatissima costituzione del ‘99, in un capitolo dedicato ai diritti lavorativi intesi come diritti umani, vedi che le conquiste della classe operaia – il diritto al salario, a una pensione dignitosa, alla casa, all’educazione... – assumono significato al calore della nostra rivoluzione, che ha consentito di realizzarle e di plasmarle nella nostra costituzione. Il cosiddetto chavismo critico, che di chavista ha ben poco giacché ha disprezzato sia Chávez che la direzione della rivoluzione, si atteggia a guardiano dell’ortodossia affidandosi a presunti illuminati che non hanno soluzioni né progetto e rifiutano Maduro in quanto operaio. Noi crediamo alla critica e al dibattito, anche acceso come di fatto avviene al nostro interno, ma dentro non fuori della rivoluzione. Come operai, come avanguardia della rivoluzione bolivariana, il nostro dovere è quello di dare un contributo alla costruzione del modello socialista.
Cosa propone il movimento sindacale nella Assemblea nazionale costituente?
Come ha detto Maduro, dobbiamo demolire lo Stato borghese. Il punto è questo. Un punto su cui concordano, dietro il presidente della CBST, Will Rangel, tutta la direzione,17 federazioni nazionali, da quella petrolifera al pubblico impiego, 24 organizzazioni regionali, circa 3000 organizzazioni di base per circa 3 milioni di lavoratori e lavoratrici tesserati: trasformare il modello capitalista fino alla costruzione del socialismo. Dobbiamo uscire dalla dipendenza dal modello della rendita petrolifera che impera da 100 anni per costruire un Venezuela produttivo sotto la guida collettiva dei lavoratori. Con la nuova costituzione, dobbiamo blindare le nostre conquiste e dare rango costituzionale ai consigli produttivi dei lavoratori come direzione collettiva dell’impresa. Organizzare una pianificazione strategica per risolvere i grandi problemi del paese. Stabilire che sia la classe operaia a revisionare e controllare la distribuzione delle principali risorse del paese. Nessuna impresa strategica dev’essere più privatizzata, nemmeno parzialmente. Dobbiamo inserire nella Carta Magna le Misiones, le forme di proprietà collettiva che non erano contemplate, scardinare lo Stato burocratico erede della IV Repubblica. Molti ministeri creati nella rivoluzione hanno riprodotto il vecchio schema. Dobbiamo democratizzare la direzione. In fabbrica, certi gerenti si comportano come i capitalisti. Occorre invece passare da una visione che mette al centro il profitto a una che rispecchi il patto sociale, il progetto di vita concordato dei venezuelani: in cui non ci sono solo diritti, ma anche doveri, una nuova cultura del lavoro, nuove relazioni produttive all’insegna del socialismo. Non serve appiccicare dappertutto l’etichetta “impresa bolivariana e socialista” quando certe fabbriche sono quasi delle “maquillas” (camuffamenti, ndr) quanto a sfruttamento dei lavoratori. Il ruolo della classe lavoratrice dev’essere centrale nella costruzione del modello: un nostro modello, che può essere diverso da quello sovietico, cinese, cubano... Non ci servono manuali, come non ci serve considerare la costituzione una Bibbia intoccabile.
Come valuta il lavoro dell’Anc?
Questa strana “dittatura” ha portato a discutere candidati di diversi settori, che magari non si sarebbero incontrati, invece fanno proposte per il paese. Un ancor più strano “dittatore” consegna il potere al popolo... a milioni di “dittatori e dittatrici” che hanno sfidato violenze di ogni tipo per andare a votare: dapprima nel “simulacro” (una prova generale per testare il sostegno popolare, ndr) del 16 luglio con una partecipazione che non ci si aspettava e poi il 30 luglio per eleggere i costituenti come me. Il popolo da anni ci dà lezioni. Nel 2015 (le elezioni legislative, ndr) abbiamo perso non perché le destre abbiano vinto, ma perché non abbiamo saputo capire l’esasperazione del nostro popolo. Mentre noi facevamo campagna con i tamburi il popolo stava affogando nelle code, nell’insicurezza. Come gruppo dirigente abbiamo dovuto incassare la sberla e riflettere. Oggi il popolo, con il suo voto, ha ripreso la parola per cercare soluzioni alla guerra economica all’interno dell’Anc. Ma bisogna guardarsi dal discorso del nemico, perché a volte ci prende per stanchezza, per rabbia o per rassegnazione. Così c’è chi dice di essere stato chavista, ma ci accusa di non essere più democratici, di non fare gli interessi del popolo, hanno invitato all’astensione. Nell’Anc non contano gli interessi dei singoli, ma il mandato del popolo per un progetto di paese opposto a un modello basato sulla violenza e sulla menzogna in nome della “democrazia”. Io vivo a Chacao, una delle zone più colpite dalle violenze delle destre. Per quattro mesi, blocchi stradali e trappole a cui uno dei miei vicini si dedicava con impegno particolare. Una volta dovevamo consegnare la borsa alimentare dei Clap, i Comitati di rifornimento e produzione che abbiamo organizzato per aggirare il monopolio della grande distribuzione e la guerra economica. Lo abbiamo cercato per dargliela. Prendendola, la sua faccia è diventata di tutti i colori. Come dire: i “democratici” bloccano le vie, i “dittatori” le aprono... Come avete potuto constatare, c’è un paese che vive e lavora in pace. Una realtà diversa da quella raccontata dalla Cnn secondo cui ogni giorno Maduro starebbe per scappare e noi saremmo già tutti a nasconderci. Abbiamo dimostrato due cose: che la rivoluzione non solo non è morta, ma non ha neanche la bronchite. E che i nati morti sono quelli che vogliono affossarla.
(Questa intervista è stata pubblicata in lingua spagnola con il titolo “Una voz para comprender lo que se está jugando en Venezuela” sul periodico on line “Alai, América Latina en movimiento”)