Referendum, perché Sì - di Riccardo Chiari

Per evitare equivoci, partiamo dalla domanda principale: che cosa si va a votare il 17 aprile? Risposta: si chiede alle italiane e agli italiani di cancellare l’articolo del Codice dell’Ambiente, rivisitato dall’ultima legge di stabilità del governo Renzi, che permette ricerche e estrazioni di gas e petrolio in mare entro le 12 miglia marine dalla costa (circa 22 chilometri). Se vinceranno i Sì, allo scadere delle concessioni – che possono arrivare anche a 50 anni – le trivelle verranno fermate. Se vinceranno i No, si andrà avanti a oltranza, fino all’esaurimento dei giacimenti.

Attenzione: se non si raggiungerà il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto, il referendum non avrà valore legale. Anche se, per il futuro, è stato annunciato un ricorso alla Ue. Perché il fronte del Sì giudica illecito uno sfruttamento senza scadenza dei beni naturali. Fronte amplissimo: il Comitato Vota Sì (www.fermaletrivelle.it) conta oltre 160 associazioni, dall’Arci alla Fiom (con un buon pezzo della Cgil), con Legambiente, Wwf, Italia Nostra e Greenpeace insieme, fino al Touring Club e all’Alleanza cooperative della pesca.

Serve cercare in mare petrolio e altri idrocarburi? Osserva Legambiente che le piattaforme soggette a referendum soddisfano meno dell’1% del fabbisogno nazionale di petrolio, e il 3% di quello di gas. Materie prime peraltro abbondanti - i prezzi in grande calo lo dimostrano empiricamente – e molto inquinanti. Mentre all’ultima Conferenza Onu sul clima (Parigi 2015), chiusa peraltro con un accordo non all’altezza di una realtà dominata dai cambiamenti climatici, 195 paesi hanno assunto l’impegno di contrastarli, contenendo l’aumento della temperatura media globale sotto i due gradi centigradi (1,5°) rispetto ai livelli preindustriali.

In Italia, le società petrolifere non hanno una tassazione specifica ma solo l’imposta Ires al 27,5%, come tutte le altre aziende. Per giunta il sistema delle franchigie - le esenzioni – che vanno fino a 50mila tonnellate di petrolio e 80 milioni di smc estratte in mare, fa sì che le royalty siano pagate solo per 18 delle 69 concessioni in mare (il 21%), e per 22 delle 133 concessioni attive a terra. Soltanto 8 aziende su 53 pagano le royalty. I canoni annui vanno dai 3,59 euro per kmq del permesso di prospezione ai 57,47 euro per kmq per la concessione, che diventano 86,2 euro solo in caso di proroga.

Va da sé che le servitù petrolifere mettono a rischio l’ambiente e i settori economici che campano grazie alle risorse naturali: solo nel settore della pesca gli addetti in Italia sono 60mila, e di turismo costiero vivono almeno 47mila esercizi. Anche loro, naturalmente, in prima fila per il Sì.


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