Sì, ricominciamo - di Frida Nacinovich

Un microcosmo disordinato e in perenne movimento

L’eskimo non è più di moda e tiene troppo caldo, il febbraio romano quest’anno odora già di primavera. Magliette, golfini, tailleur e perfino grisaglie al palazzo dei congressi dell’Eur, dove la sinistra italiana azzarda la carta della cosmopolitica. Un macro cosmo disordinato e in perenne movimento. Addio dread, piercing, sneakers, i giovani che affollano il cubone di piazzale Kennedy sono ben vestiti, ben pettinati, ben impostati. Anche troppo. Ma come i fratelli maggiori sono on line, amano i social network, e hanno elaborato una piattaforma per ritrovarsi, confrontarsi, discutere, decidere. La loro patria è il web intero, come si conviene ai giovani cosmopoliti del ventunesimo secolo. Toccherà a loro ridare un senso alla parola sinistra, perché quelli che negli ultimi decenni ci hanno provato non sono andati molto lontano. Comunque sia, oggi sono tutti qua, giovani e meno giovani, illusi e disillusi, orfani del centrosinistra e partigiani di una sinistra moderna senza complessi, fra podemos e syriza. Riecheggia nelle teste l’urlo di Adriano Pappalardo: “Ricominciamo”. Ma da dove? da Roma? da Milano? Dai referendum costituzionali? Le amministrative di giugno si annunciano scivolose, forse è meglio stringersi a coorte per cancellare il disegno di legge Boschi che riscrive la geografia istituzionale, disegnando palazzo Chigi grosso grosso, palazzo Madama minuscolo, e Montecitorio con il premio di maggioranza.

La tre giorni di Cosmopolitica non è il congresso di Sinistra ecologia e libertà. Lo dicono nei corridoi, lo dicono al bar, lo dicono anche dal palco. Sarà anche vero. Certo la liturgia è quella congressuale, con una spruzzata di Leopolda - Human factor - centro studi. Gira voce che dalla tre giorni dell’Eur uscirà un comitato provvisorio di centocinquanta apostoli, pronti a spargere il verbo di Sinistra italiana sugli ormai mitici territori. Staremo a vedere. Perché le elezioni comunali già incombono, e in una democrazia è lì che si misurerà la nobiltà del proposito. Quello di una sinistra unita e plurale. L’unità è ancora lontana, invece abbonda la pluralità. Una ricchezza, a giudicare da alcuni amministratori che raccontano cosa hanno fatto per le loro città. Da Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, che strappa un’ovazione alla platea quando racconta di aver ripubblicizzato l’acqua, a Giuliano Pisapia, primo cittadino di Milano, che ha reso la capitale industriale del paese meno grigia di quanto fosse successo negli ultimi vent’anni. Certo ora la strada si è fatta impervia, perché con tutto il rispetto Giuseppe Sala, super manager di Expo, avrà anche vinto le primarie meneghine, ma di arancione ha poco o nulla.

Sergio Cofferati ammonisce: “Non si barattano i principi per un assessorato”. Antico vizio della sinistra di governo a prescindere. Il futuro è dei giovani. Ma qualche padre/madre nobile continua a vedere lontano senza bisogno di occhiali. Luciana Castellina incanta la platea chiedendo di “salvare il nucleo del pensiero di Gramsci”, insomma il partito come “intellettuale collettivo”. Poi spiazza il palazzo dei congressi: “Invece di una federazione giovanile, facciamo la federazione degli anziani, ci sia uno spazio per la memoria degli over settanta”. Nichi Vendola regala un intervento in video bello e intenso, denunciando con parole chiare e pacate la consunzione del concetto politico del riformismo.

Che riformismo è quello che non fa fare passi avanti ma anzi riporta indietro le lancette del tempo sia per i diritti sociali che per quelli civili? I ragazzi di Nichi, i trenta-quarantenni che hanno giocato la partita con il Pd sognando di vincerla ascoltano e prendono appunti. Perché una fase politica si è chiusa, non soltanto perché il partitone tricolore è stato scalato da Matteo Renzi e dalle sue legioni. Il Pd è cosa ben diversa dalla somma di Ds e Margherita, è quello che Walter Veltroni aveva delineato nel ‘discorso del Lingotto’, ormai dieci anni fa.

Un partito a vocazione maggioritaria, popolare e di massa, equidistante fra capitale e lavoro. Mentre la sinistra, per sua natura, gioca - e combatte - per il lavoro, non certo per il capitale. Ci sono anche tanti sindacalisti in sala. Di casa Cgil, che con Renzi non ha mai legato, ancor prima della legge Fornero e del Job act. Anche loro ascoltano con attenzione, sperando che dal fiore dell’Eur nascano cento fiori in tutte le città italiane. Quella massa critica, ben diversa da un partito del 4%, che sui diritti del lavoro e dei lavoratori possa aiutare a fare quell’inversione a “U” di cui c’è onestamente gran bisogno. I tre giorni sono stati intensi, gli interventi di buon livello, il dibattito è aperto. Con alcune questioni importanti che restano ancora aperte: solo per fare un esempio, Rifondazione, l’Altra Europa e Possibile non si son ancora ritrovati nella Cosmopolitica. Ma il futuro non è scritto.


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