Ikea, i conti non tornano - di Marco Prina

Aumenta l’indebitamento rispetto alla casa madre con una parallela diminuzione del patrimonio netto dai 276 milioni del 2011 ai 64 milioni nel 2014


Sul tema dei bilanci in rosso l’azienda ha sempre pianto miseria, per giustificare la necessità del comune sacrificio. Prima con l’abbattimento degli straordinari in cambio di maggiore flessibilità, poi con i nuovi progetti sperimentali (Time), infine con la continua reiterazione dei doppi tripli quadrupli regimi salariali fra vecchi assunti, nuovi assunti, interinali, stagisti.

Ha millantato un aumento dei costi del lavoro nel 2014 del tutto artefatto dall’introduzione di un sistema assicurativo non richiesto da nessuno (TAC) e dall’apertura di un nuovo negozio (Pisa). Tant’è che sull’aumento di 8 milioni di euro del costo del lavoro solo 800 mila sono attribuibili a straordinari o aumento dell’utilizzo del personale nelle giornate domenicali e festive.

In compenso il fatturato è cresciuto di quasi 16 milioni di euro (su un miliardo e mezzo di fatturato) rispetto al 2013.
Ma Ikea lamenta un calo dell’utile.
Anche qui “ciula” sul manico. Nel 2014 il calo si assesta sui 27 milioni e sarebbe il terzo anno di utile negativo dal 2011. Eppure tale passivo in verità non è attribuibile al costo del lavoro, meno che meno alla parte economica strutturale del bilancio, ovvero all’attività economica a normale regime.
Infatti se il bilancio economico di Ikea fosse depurato da eventi finanziari e cause eccezionali non ripetibili, dovrebbe andare nel 2014 in pareggio.

In realtà Ikea nel 2014 ha visto un aumento eccezionale di alcune voci di spesa legato alle perdite sui cambi (importazione di prodotti finiti da paesi esteri), all’aumento degli oneri straordinari (ad es. vendita di qualche immobile), aumento degli oneri finanziari, aumento delle rimanenze nei magazzini (pari a 8 milioni). Quest’ultimo aspetto è legato a una fallimentare previsione di maggiori vendite che ha riempito i magazzini degli store, e che risulta pressoché identica all’aumento del “costo del lavoro”.
In compenso aumenta l’indebitamento dell’Ikea rispetto alla casa madre con una parallela diminuzione del patrimonio netto dai 276 milioni del 2011 ai 64 milioni nel 2014.

Cosa c’è dietro è abbastanza semplice. Un aumento in questi anni degli investimenti in Italia per allargare le quote di mercato, ha portato Ikea a lanciare una nuova sfida, ad aprire nuovi negozi nella vecchia penisola, giocando sulla rimessa a punto degli indici di competitività, fra cui il costo del lavoro, che andrebbe ridotto di un punto percentuale, per stare sotto la soglia del 12,5% sul fatturato annuo nella cosiddetta GDO, dichiarato per il nostro paese da Cobolli Gilli di Federdistribuzione.
Ed è tutto dire. 


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