La trattativa Ikea ha subito una forte, bruttissima accelerata nel mese ottobre, scandita dalle offerte ultimative dell’azienda che, col fine di assicurarsi un tranquillo periodo natalizio, ha cercato fino all’ultimo di imporre il rinnovo del CIA alle proprie condizioni, ricorrendo al reiterato aut aut della disdetta del vecchio CIA, cancellandone tutte le migliorie conquistate in 25 anni rispetto al CCNL del Commercio (quello vecchio e applicato surrettiziamente da Federdistribuzione).
Malgrado le generose e inaspettate mobilitazioni d’agosto, Ikea dopo aver subito lo sblocco della trattativa, è riuscita sui tavoli a imporre due mesi di Calvario, dove ha fatto due offerte ultimative nell’arco di 15 giorni.
La prima è stata di revisione delle maggiorazioni domenicali, festive e natalizie con una perdita di reddito che andava dai 470 ai 3000 euro annuali, a seconda dell’anzianità dei dipendenti. Mantenendo il Premio aziendale (ca 800 euro all’anno), ma solo per i vecchi assunti. Il Premio di Partecipazione pari a 1300 euro salvato ma più difficile da raggiungere per due terzi (rimanendo a completa discrezione della casa madre...), e solo per un terzo frutto di un confronto fra le parti a livello di negozio. La volontarietà delle domeniche (per i vecchi dipendenti che ancora ne godevano) cancellata e mantenuta solo per un anno per coloro avessero aderito al nuovo modello “volontario” di flessibilità (cosiddetto Time). Nessun cambiamento (miglioramento) della situazione rispetto ai doppi regimi (per i nuovi negozi e per chi ha già dei accordi di “gradualizzazione” delle maggiorazioni verso gli standard nazionali).
Su questa prima proposta “ultimativa” si è svolta una veloce consultazione a livello dei 21 negozi, che è stata sostanzialmente rifiutata dai 6250 dipendenti; una consultazione che però ha espresso in generale una corale volontà di continuare ancora la trattativa. Volontà rafforzata da vari scioperi nei negozi storici della Lombardia.
La seconda proposta, è stata il frutto di una ultima pesante tornata ai tavoli terminata alle 5 del mattino del 28 ottobre, dopo varie correzioni di un testo venduto al popolo come “proposta conclusiva aziendale per il rinnovo del CIA”, che nel suo corpo è tutto fuorché un “verbale d’incontro” dove si registrano distanze fra le parti, bensì una semplice, organica proposta fatta dall’azienda, spuntata dalle OO.SS. e che “chiude la trattativa” in via definitiva con la firma delle OO.SS. Tale proposta aziendale sarà sottoposta, questa volta, a referendum.
Va da sé che con questa firma si avvalla la possibilità che in caso di rifiuto dell’accordo da parte dei lavoratori, l’azienda potrebbe tranquillamente applicare il vecchio CCNL del Commercio, non avendo più il vincolo dell’ultra-vigenza, essendo la trattativa comunque terminata.
A questo giro, l’azienda nel suo ricatto contro i lavoratori è rafforzata dalla firma sindacale. Una firma che sembra più una capitolazione che una resa condizionata.
Rispetto alla proposta precedente vi sono alcune migliorie, ma nella sostanza si rimane all’impianto precedente. Il Premio di partecipazione diventa un superminimo non assorbibile, assente per i nuovi assunti e graduato per quelli dei nuovi negozi soggetti a gradualizzazione.
I vecchi assunti (pre 2000) mantengono la volontarietà delle domeniche, ma con la possibilità di scelta di negarle da parte dell’azienda.
Il Premio di Partecipazione vede una riduzione degli obbiettivi e una riduzione di potere di contrattazione delle rappresentanze sindacali, con una decisione da parte della casa madre di due obiettivi su tre, col terzo soggetto alla sua approvazione finale.
Le maggiorazioni su domeniche e festivi si riducono come prima, in forma più attenuata, producendo un effetto di equità al ribasso (60% le domeniche, 75% tre domeniche natalizie, 80% i festivi), senza cancellare le diverse corsie di gradualizzazione fra negozi nuovi e semi nuovi.
La flessibilità viene regalata in cambio di una presunta conciliazione fra tempi di vita e di lavoro attraverso il progetto TIME. Il cui unico pregio è di essere volontario, soggetto a verifica delle parti ma solo a livello di negozio. Debole è la possibilità di consolidamenti dei part-time, perché legata agli utili di negozio e alla disponibilità di ore supplementari al netto delle ore di “assenteismo”.
Niente è stato scritto sul jobs act, dedicate parole aleatorie sul welfare aziendale, nulla sugli appalti (non si parla né di clausola sociale, né di CCNL firmati dalle OO.SS. maggiormente rappresentative).
E’ dunque un nuovo contratto di semplice sottrazione con restituzione di poche briciole, penalizzante per i negozi storici che sono anche i più sindacalizzati.
La vecchia guardia paga questo contratto, in cambio di una equità al ribasso, senza l’eliminazione definitiva dei doppi e tripli regimi, penalizzando sempre i nuovi assunti, regalando una materia delicata come la flessibilità al padrone, che rischia di diventare il cavallo di Troia di futuri esuberi a fronte di un mercato che tende alla saturazione nella scarsa crescita.
Con questo nuovo CIA, imposto con delle modalità ultimative, l’azienda può subire la tentazione di creare un nuovo clima nei negozi più sindacalizzati, teso a fare terra bruciata e marginalizzare il ruolo autonomo della rappresentanza sindacale, per piegarlo sotto ricatto alla condizione di un docile strumento subalterno di consenso.
Sarà dunque fondamentale muoversi nel futuro prossimo per risalire la china. Opporsi al ricatto aziendale, votare contro l’accordo, riorganizzando la resistenza negozio per negozio. Se si vuole veramente recuperare per il prossimo CIA.