"Autorganizzare" gli inorganizzati? - di Maria G. Meriggi

E adesso vediamo un po’ nel passato. Innanzitutto osserviamo che nei lunghi decenni in cui la sola protezione dei lavoratori era il mestiere – che per Rigola era “un capitale di cui nessuna banca può privare”, era “la libertà” – il sindacalismo era riservato agli operai di mestiere diffidenti dei lavoratori privi di qualifica sospettati (spesso a ragione) di venire utilizzati per abbassare le tariffe e come crumiri. Gli impiegati poi erano, fino al fordismo, una esigua minoranza del mondo del lavoro. L’estensione dell’organizzazione sindacale ai non qualificati che allora erano anche precari fu un processo complicato ma determinante. In Inghilterra, dove le Unions erano in grado fin dagli anni 1860 di raccogliere importanti casse di resistenza, solo dopo il 1889, la data del grande sciopero dei dockers, il sindacalismo si sviluppò anche nei trasporti, nei porti e nell’agricoltura. Le nuove Unions non davano la stessa importanza alle ricche casse di soccorso, ritenendo che la stessa organizzazione doveva restare uno strumento di lotta e come tale poteva bastare a se stessa. Diventando un sindacalismo di massa le Unions della Gran Bretagna potevano comunicare ad esercitare un ruolo politico e non affidarsi soltanto alla resistenza. Lo sciopero del 1889 rimane cruciale nella storia sociale inglese: per la prima volta i precari invece di passare dal mob violento alla passività attraversarono Londra con manifestazioni ordinate che suscitarono la solidarietà persino del vescovo cattolico Manning.
E per dei lettori italiani sindacalizzati non devo certo ricordare la straordinaria opera di disciplinamento dei conflitti più violenti e le diverse soluzioni (cooperative, imponibile di mano d’opera, collocamento di classe) che la Federterra trovò, prima del fascismo, insieme ai braccianti agricoli, una delle categorie meno qualificate e più sottoposte al bisogno e al ricatto padronale.
Questo breve excursus per ricordare che: le innovazioni organizzative per le organizzazioni di massa che includono anche funzionari e dirigenti selezionati in un periodo ben determinato sono lunghe e difficili. E che i lavoratori precari possono trovare le risorse per rispondere ai loro difficili problemi (i dockers erano i braccianti dei porti) fino a raggiungere una forza contrattuale come quella della CULMV del porto di Genova.
Sono però ormai almeno vent’anni che i contratti a tempo determinato da “atipici” (ci ricordiamo tutti questa formula) sono diventati i soli attraverso i quali una generazione accede al lavoro non come passaggio transitorio (come era dai ’50 ai ’70) ma come forma stabile e definitiva.
I “braccianti”, i “dockers” dei nostri giorni però sono spesso ultrascolarizzati e sono stati investiti dalle ideologie del “capitale umano” che però non trovano alcun riscontro nei reali rapporti di forza nel mercato del lavoro. Nonostante i tentativi fatti in questo senso – anche da organizzazioni rivolte soprattutto ai più qualificati, come l’ACTA (http://www.actainrete.it/cosa-vogliamo/) che si rifà innanzitutto alle analisi di Sergio Bologna, finora è mancata da parte della Cgil (ma a più forte ragione da parte del sindacalismo non confederale) la capacità di unificare le forme diverse del lavoro precario in una sintesi che selezioni i bisogni e indichi piattaforme condivise.
Allora i cosiddetti “black bloc” sono davvero solo un epifenomeno, che ha lasciato scritte (che sono parte naturale dell’arredo urbano di tutte le città europee), distruzioni gravi ma solo alle cose e non alle persone. Il problema che ci pongono non è la loro “violenza” ma il loro silenzio. Gli stessi gruppi più violenti della lotta armata nei ’70 ci inondavano – come tutte le formazioni di nuova sinistra e dell’autonomia – di documenti esplicativi delle loro azioni: un filo di discorso circolava nonostante tutto fra il movimento operaio organizzato e i movimenti autonomi e tutti volevano convincere tutti della loro “giusta linea”. Il silenzio di quella componente del corteo – che i manifestanti non hanno seguito né isolato – ci indica un limite gravissimo di quel mondo ma ci interpella anche sulle forme per riaprire quella comunicazione. Non con i “black bloc” ma con i lavoratori che hanno sfilato con loro…


Print   Email