La contrattazione, prima e dopo il Jobs Act

Intervista a Maria Grazia Gabrielli, segretaria generale Filcams-Cgil

E' stato siglato il primo contratto dopo la legge delega del governo Renzi sul lavoro (il Jobs act). Dicono che il contratto non contiene niente che lo contrasti e che questo contraddice le decisioni della CGIL.Nella trattativa per il rinnovo del contratto nazionale non ci sono state le condizioni per introdurre norme di contrasto al Jobs Act, tra l’altro, all’epoca dell’inizio del negoziato, ancora non delineate.
Abbiamo dovuto recuperare una trattativa interrotta a giugno del 2014, che è ripresa già con forti condizionamenti, primo fra tutti la necessità di rimuovere i temi che avevano impedito di raggiungere un accordo e sui quali si era consumata l’interruzione. Temi rilevanti per le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori, quali la flessibilità degli orari e l’assorbimento dei permessi individuali.
Nel giudizio complessivo dell’accordo, quindi, bisogna considerare il contesto generale, la storia della trattativa e i problemi affrontati durante il negoziato.
Non si tratta di edulcorare o rimuovere i punti critici dell’ipotesi di accordo ma di presentare, in maniera obiettiva e trasparente, al nostro interno e soprattutto alle lavoratrici e i lavoratori, tutte le condizioni che ci hanno portato a valutare la sottoscrizione.
Se questa lettura è rifiutata a priori, credo che il problema che ci troveremo davanti non sia la coerenza o meno con le decisioni della CGIL ma l’idea che qualsiasi accordo, aziendale, territoriale, nazionale, vada comunque rigettato in assenza di recupero del Jobs Act.
Resta, per quanto ci riguarda, l’impostazione che ho provato qui a tracciare, che non mette in discussione l’impegno della Filcams e la convinzione rispetto alle scelte assunte in CGIL di utilizzare anche la via contrattuale per contrastare il Jobs Act, come dimostrano nel frattempo gli accordi sottoscritti dalla categoria sui cambi appalto dove non abbiamo fatto entrare l’art 7. 


Il contratto di inserimento per i disoccupati di lunga durata comporta un pesante sotto inquadramento in entrata e dilata il periodo di precarietà nell’accesso. E’ uno scalpo dato alle controparti o una scelta ponderata?
E’ evidente che il contratto di inserimento non è frutto di una proposta sindacale.
Il tema - infatti - ha visto contrapposte due diverse impostazioni tra chi vede necessario, in questo estremo momento di difficoltà, un intervento per creare ulteriori percorsi di accesso a persone che rientrano in una condizione di particolare debolezza nel mercato del lavoro, al punto di essere più a rischio marginalizzazione, e chi, come la Filcams, ritiene che le gravi condizioni occupazionali non possano essere la causa e la motivazione per proporre un contratto inferiore per chi già è in condizione di svantaggio.
Nella costruzione dell’equilibrio complessivo e nel tentativo di rimuovere i vari punti critici presenti nel negoziato, non si è però riusciti a trovare le condizioni per superare questo istituto.
Si è lavorato quindi per un suo ridimensionamento rispetto alla richiesta iniziale delle controparti, cercando di renderlo un elemento sperimentale dentro la vigenza contrattuale, per monitorarne gli effetti, portando la durata iniziale del contratto a termine a un anno senza possibilità di reiterazione (elemento di differenza con il Decreto Poletti) e agganciando la prosecuzione temporale del sotto inquadramento alla concreta stabilizzazione a tempo indeterminato.


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