Università di Firenze e servizi appaltati: è ora di invertire la rotta - di Luciano Malavasi e Sergio Tarchi

Nonostante alcuni attriti iniziali, inevitabile frutto delle differenti condizioni di lavoro tra i lavoratori in appalto dell’Università di Firenze e i loro colleghi di ruolo, si è creato nel tempo un proficuo rapporto grazie al riconoscimento reciproco che la tutela dei diritti degli uni non era indifferente per gli altri. Questo ha comportato momenti di militanza condivisa e talvolta persino il sorgere di legami di amicizia. Il comitato degli iscritti della FLC CGIL di ateneo ha inserito nel proprio organismo alcuni delegati FILCAMS dei lavoratori in appalto per uno scambio continuo di informazioni e di proposte. Queste premesse hanno consentito di addivenire di fatto ad una contrattazione di sito, portata ad esempio da più parti.
La forte volontà di ricomposizione del ciclo produttivo, assieme alla convinzione dell’insostituibile ruolo dei delegati sindacali, ha fatto in modo che i lavoratori dell’Università di Firenze parlassero con una voce sola.
Molti ed importanti risultati sono stati conseguiti nel tempo e adesso è giunto il momento di compiere lo sforzo più grande, ossia la reinternalizzazione dei servizi in appalto con gli addetti operanti, non solo per senso di giustizia ma anche per una necessità economica, che se lasciata gestire a coloro ai quali nulla interessa delle condizioni delle persone, potrebbe in tempi brevi trasformarsi in un disastro occupazionale.
Dai tempi del governo Monti la spending review non è una revisione di spesa con i tagli a quella improduttiva, ma, per demagogia, incompetenza e malafede, si riduce sostanzialmente a tagli lineari dei fondi di finanziamento ordinario stanziati a livello centrale, che le strutture pubbliche periferiche scaricano per la maggior parte sui comparti in appalto, senza uno studio approfondito su come risparmiare e nello stesso tempo tenere alto il livello occupazionale.
E’ possibile invece riqualificare la spesa pubblica senza colpire lavoratori e servizi e lo abbiamo già dimostrato: a fronte di una deliberazione del Consiglio d’Amministrazione dell’ateneo di Firenze, che chiedeva una consistente riduzione dei costi sugli appalti, siamo stati in grado di suggerire le modalità per un risparmio di alcune centinaia di migliaia di euro, senza che fossero intaccati i livelli occupazionali. Ora dobbiamo proporci obiettivi più ambiziosi: si tratta di piegare la politica di ulteriori risparmi ad occasione per conseguire il grande risultato della reinternalizzazione dei servizi.
La domanda che ci siamo fatti è molto semplice: quanto costa un dipendente di ruolo e a tempo pieno con inquadramento C1 e C2 (che rappresentano profili professionali qualificati in cui è possibile inserire i servizi in appalto di pulizie, portinerie, segreterie, informa studenti, logistica e quant’altro)?
Circa 31 mila euro in un caso e 32 mila nell’altro: si tratta del lordo amministrazione, quindi del costo reale onnicomprensivo.
E quanto costa un lavoratore in appalto e a tempo pieno IVA compresa? Circa 38 mila euro al netto dell’adeguamento Istat, dal momento che il valore cambia di anno in anno; questo valore negli ultimi due anni è stato basso, attorno all’1%, ma nel 2012, con un valore superiore al 3%, determinò per l’Università di Firenze un ulteriore maggior costo di oltre 200 mila euro.
L’adeguamento Istat, previsto dalla legge a vantaggio degli appaltatori d’opera e di servizi, nel caso dell’appalto di servizi la cui attività sia svolta esclusivamente dal fattore umano (labur intensive), altro non è che un ulteriore maggior profitto per l’appaltatore e l’ennesimo spreco per la struttura pubblica.
Fatti due conti, la reinternalizzazione dei lavoratori in appalto all’Università di Firenze consentirebbe un risparmio che si aggirerebbe attorno al milione di euro, al netto dell’Istat.
A tal proposito è già in cantiere un’iniziativa sul tema, nella prospettiva di avviare un tavolo tecnico con l’Amministrazione dell’Ateneo.
Se questo ragionamento lo si riportasse in tutte le pubbliche amministrazioni, avremmo ottenuto la spending review che serva al Paese, ai lavoratori ed anche all’imprese, liberandole dall’attività di sciacallaggio delle pubbliche risorse e consentendo loro attività più nobili e di maggior interesse per l’Italia tutta.
Naturalmente i benefici che ne deriverebbero sarebbero importanti anche sotto il profilo di un’adeguata risposta al lavoro povero, all’illegalità e alla corruzione che vedono negli appalti, anche di servizi, la fonte primaria.
Naturalmente il primo obiettivo è quello di far ragionare le pubbliche amministrazioni sui numeri e sull’azione demagogica del governo che scarica su di loro la responsabilità delle gestione dei tagli.
Spesso abbiamo sentito dire dai sostenitori del “nuovismo” che le norme che regolano il mondo del lavoro non rappresentano più l’attualità delle situazioni e pertanto occorre riadeguarle, in una ricetta che peggiora ancor più i diritti delle persone. In realtà anche noi non vogliamo il perpetuarsi dell’attuale situazione: blocco del turn-over nelle PA, privatizzazioni, esternalizzazioni contrastano con una reale politica di risparmio e al tempo stesso di garanzia dei servizi e di tutela dei lavoratori.
A nessuno sfugge che la legge di stabilità non sta in piedi e che occorrerà attivare le clausole di salvaguardia che prevedono per l’Iva un aumento a 24% nel 2016, al 25% nel 2017 e al 25,5% nel 2018. Se la CGIL non ci metterà le mani con una proposta che tenga insieme revisione della spesa e livelli occupazionali, su chi si scaricherà questo maggior costo per le PA?
Le scelte fatte dall’Esecutivo trasudano demagogia e massacrano le persone. Già le società in house create dalle PA si proponevano come un primo step di esternalizzazione inaccettabile, ma almeno consentivano alle stesse PA di offrire un servizio risparmiando l’IVA. Adesso la loro dismissione farà sì che il maggior costo del servizio si scaricherà sugli utenti, come recentemente confermato in una dichiarazione del Segretario Generale della Camera di Commercio di Firenze, la quale dovrà anche fare i conti con il dimezzamento dei finanziamenti. La reinternalizzazione dei servizi in appalto con gli addetti operanti diventa quindi strategica.
Se poi si va nel campo degli appalti privati, la reinternalizzazione dei servizi è ancora più conveniente e più facile dal momento che per l’assunzione dei lavoratori non esistono vincoli legislativi vessatori come quelli disposti per le PA: vincoli di bilancio, di percentuali di turn-over e di percentuali relative ai finanziamenti, assolutamente da rimuovere. La riassunzione degli appaltati nel privato consentirebbe risparmio di Iva e Istat, agevolazioni fiscali e contributive.
Occorre un radicale cambio di mentalità e la CGIL deve essere l’agente del cambiamento, senza paura, e con la forza della giustezza della propria analisi.
Se non lo fa la CGIL chi altri lo può fare?


Print   Email