Questione morale e sociale: il caso lombardo

Intervista a Matteo Gaddi, candidato alle Regionali nella lista ‘Etico’

Questa è una “marchetta”. ‘Reds’, infatti, non fa campagna elettorale. Ma Matteo Gaddi è un nostro collaboratore, bravo.
Come sanno i lettori.
Matteo è di Rifondazione, si presenta alle elezioni regionali lombarde in una lista unitaria della sinistra d’alternativa (dal Movimento per il Partito del lavoro ai Comunisti italiani passando per la sinistra diffusa), a sostegno del candidato presidente della coalizione di centro-sinistra.
Per me, un sogno che si realizza – solo in Lombardia purtroppo! (A. M).


La Lombardia del dopo Formigoni ha senza dubbio bisogno di una svolta “etica”. Quali dovrebbero essere i punti-chiave della rinascita della Regione?
La Lombardia deve radicalmente cambiare pagina: mentre le fabbriche chiudevano e i lavoratori finivano in cassa integrazione o in mobilità, in Regione si discuteva delle passerelle della Minetti e delle caramelle del “trota”. Questo la dice lunga sul senso delle istituzioni di Pdl e Lega. Sono stati gli scandali, l’azione della magistratura e il discredito conseguente ad aprire un varco per il cambiamento in Lombardia. Il “modello Formigoni”, partecipato a pieno titolo dalla Lega, ha significato una occupazione sistematica e capillare di ogni poro della società lombarda, dell’amministrazione, della sanità, della scuola, dei servizi ecc. L’uso della corruzione si è fatto sistematico, i comitati d’affari hanno rappresentato i principali attori del sistema, dalla sanità alla formazione professionale, passando per le opere pubbliche e le esternalizzaizoni di servizi. Per questo, nel caso della Lombardia si parte dalla “questione morale”.

Il malcontento e la disillusione degli elettori, non soltanto di sinistra, non risparmia di certo la Regione principale del Paese. Quali risposte dovrebbe dare la lista ‘Etico’ al cittadino deluso ed indignato?
Bisogna dare risposte concrete ai bisogni più immediati: il lavoro, prima di tutto, l’impoverimento generale che porta le persone a non riuscire più a pagare nemmeno l’affitto di casa o le bollette. La questione sociale è la vera questione lombarda: lavoratori, cassaintegrati, pensionati si sono progressivamente impoveriti e questo ha messo in discussione la loro possibilità di fruire di servizi fondamentali: la casa, l’istruzione per i figli, persino i servizi sanitari...

Che significa nel 2013 parlare di ‘lavoro’ in Lombardia?
Nel 2012 è aumentato il ricorso agli ammortizzatori sociali e alla mobilità; inoltre sono cresciuti anche i licenziamenti che si vanno ad aggiungere alla pesante riduzione di occupazione che in questi anni ha caratterizzato la situazione lombarda.
I dati elaborati dalla Cgil confermano una crescita della cassa integrazione complessiva del 7,4% rispetto al 2011. In particolare ad aumentare sono la cassa in deroga (10,%) e la cassa ordinaria (51,86%). Diminuisce invece la cassa straordinaria del 25%; ma quest’ultimo dato non deve trarre in inganno: cala la cigs ma in maniera corrispondente crescono mobilità e licenziamenti segno che, dopo l’utilizzo degli ammortizzatori, per molti lavoratori non avviene il rientro al lavoro ma la caduta nella disoccupazione. In questi anni si sono susseguite ristrutturazioni, delocalizzazioni e chiusure di imprese manifatturiere.

Frequenti da anni le fabbriche del nord e hai realizzato puntuali analisi sullo stato di salute della ‘classe operaia’. Come stanno gli operai lombardi?
Malissimo, come tutti gli altri operai del resto del Nord. Ma poiché la Lombardia è la regione più industrializzata d’Italia, in questi territori la crisi ha picchiato in maniera molto più dura. La crisi viene usata dalle aziende per imporre accordi peggiorativi dietro la minaccia della chiusura o della delocalizzazione: aumento degli orari di lavoro, modifica dell’organizzazione del lavoro con intensificazione dei ritmi, tagli salariali e dei diritti. Aggiungiamo il fatto che gli operai andranno in pensione più tardi e che, con al riforma Fornero, saranno ancor più esposti al potere dell’impresa. Gli operai non ce la fanno più, non hanno più bisogno di chiacchiere.  

Nel 1995, da una indagine commissionata ad un istituto di ricerca dalla Cgil Lombardia, dalla quale risultò che circa il 35% degli operai lombardi già allora votava Lega. Oggi quel dato potrebbe essere mutato, ma forse non in meglio. Che fare per riavvicinare il voto operaio a chi sostiene di difenderne gli interessi?
Non so quanto sia ancora alta la penetrazione della Lega nel mondo operaio, credo serva una inchiesta specifica da fare dopo questa tornata elettorale. Quello che ho notato davanti ai cancelli (la mia campagna elettorale si tiene con grande frequenza davanti alle fabbriche) è un impasto di qualunquismo e incazzatura. Anch’io, pur “vivendo” davanti alle fabbriche, mi sono sentito dire da un operaio dopo un mio intervento: “Sei bravo, dici cose giuste, ma non ci interessa che ce le dici qui, le devi fare quando sarai eletto”. Insomma, c’è bisogno di una forza politica che seriamente rappresenti le ragioni del lavoro e che cominci a portare a casa qualche risultato concreto.


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